H. Bautier: La fase cruciale nella storia degli archivi. Nella sua brillante relazioni sulla storia degli archivi, il professor Sandri ha tracciato in linee molto generali quella che potremmo chiamare la storia filosofica degli archivi. Costatando la loro indissolubile unione con il supporto della scrittura e del documento, ha evocato l'evoluzione che, dalla protostoria ai nostri giorni, conduce dalla testimonianza su pietra o su tavoletta d'argilla al nastro magnetico. Ha ricordato i nomi successivi che gli antichi hanno donato ai luoghi dove conservavano i loro atti, ed i cambiamenti concettuali che hanno reso gli archivi - pensati prima come un luogo di conservazione - un insieme organico, universitas rerum. Ha sottolineato a giusto titolo quanto la nozione di autenticità a avuto importanza nel ruolo che attribuiamo agli archivi, ma, allo stesso tempo, che solo staccandosi progressivamente da questo aspetto giuridico, quello che non era che il possesso di una istituzione o di una persona si è trovato implicato in una rete di fondi interdipendenti al servizio della collettività. Ha infine esaminato le condizioni in cui è nata l'archivistica: rinunciando agli antichi interessi per il valore giuridico degli atti e lasciando ai tecnici della pubblica amministrazione il compito di determinare le regole da seguire per la tenuta delle carte nelle cancellerie e negli uffici, l'archivistica ha trovato la sua via ed ha sviluppato, dopo Baldassarre Bonifacio, i suoi metodi nello studio stesso dei documenti d'archivio, concepiti nella prospettiva della loro finalità storica e culturale. Ad una relazione in cui l'autore si è così disposto ad una tale elevazione teorica, archivisti e storici non possono che dare il loro ammirato consenso. Tutto ciò che segue rischia di riportarci su un terreno che si allontana dalla filosofia e si avvicina più alla molto più modesta disciplina che è la nostra. Più prosaicamente, quindi, vogliamo tentare di periodizzare la storia degli archivi e sottolineare quello che, nel loro complesso sviluppo, ci sembra la fase cruciale: l'epoca nella quale, tra la metà del XVI secolo e l'inizio del XIX, tra Rinascimento e Romanticismo storico, si sono sedimentati i nostri depositi di archivi ed è nata l'archivistica. Non è certo il professor Sandri che potrà rimproverarci, lui che, più di chiunque altro, ha contribuito ha far conoscere la letteratura archivistica dei secoli XVII e XVIII e ha consacrato ad essa uno studio pubblicato dalla scuola di paleografia di Napoli. E' strano che la storia degli archivi non abbia ancora tentato gli archivisti, almeno su un piano generale. Solo tre autori vi si sono cimentati: Eugenio Casanova nel suo Manuale di Archivistica, ma ciò che scrisse è valido soprattutto per l'Italia; Pistolese, nella introduzione alla Guida internazionale degli Archivi, pubblicata nel 1934 dall'Istituto internazionale di cooperazione intellettuale; in ultimo, A Brenneke, che nella sua ammirevole Archivkunde, pubblicata dal nostro collega W. Leesch, si è interessato più agli sviluppi della dottrina archivistica che alla storia degli archivi vera e propria. Inoltre, se quest'ultima opera costituisce una miniera inesauribile di informazioni sull'Europa centrale, la sua documentazione è piuttosto scarna per quanto riguarda l'Europa meridionale, cosa che rende un po' contestabili alcune prospettive in cui l'autore si è situato. In effetti, il materiale per la storia degli archivi si trova disperso in un numero considerevole di pubblicazioni, non sempre facilmente accessibili: introduzioni agli inventari, studi pubblicati dagli istituti stessi, riviste archivistiche, bollettini di società di eruditi locali. La loro sintesi è ancora da fare, cosa che rende oggi giorno assai difficile una visione di insieme sull'evoluzione degli archivi. Non possiamo che abbozzarla grossolanamente nel ristretto tempo concessoci dall'intervento in un congresso così grande. La periodizzazione della storia degli archivi A rischio di una schematizzazione eccessiva, possiamo considerare che gli archivi siano passati attraverso quattro fasi prima di raggiungere quella in cui recentemente sono entrati. Noi le definiremo per questo: epoca degli archivi di palazzo (che corrisponde grossomodo alla Antichità); quella dei tesori di carte (XII-XVI secolo); quella degli archivi arsenali dell'autorità (XVI - XIX secolo); quella, infine, degli archivi laboratori di storia (inizio del XIX - metà del XX secolo). La prima fase sfugge in larga parte al nostrto studio, poiché questa appartiene al dominio degli archeologi, sebbene costoro si siano dedicati alla decifrazione delle tavolette ed alla loro interpretazione storica e non si siano sufficientemente preoccupati di quell'aspetto della civilizzazione che è la conservazione degli archivi. Sostanzialmente, è nei palazzi che si sono scoperti i documenti (trattati, corrispondenza amministrativa e diplomatica, conti e pezzi finanziari), le tavolette più antiche risalgono agli inizi del IV millennio prima della nostra era. Successivamente, gli archivi del palazzo di Lagash (attorno al -2900), scoperti a Tello, quelli di Larsa, di Mari, di Ugarit, di Hattusah, di Ninive, di Persepoli, tracciano, dai principi del III millennio al IV secolo a.C. questa lunga storia. L'Archeion di Atene, nella seconda metà del IV secolo, gli archivi dei monarchi ellenistici, il Tabularium publicum di Roma depositato nell'erario di Saturno alla metà del I secolo, trasmettono a loro volta l'eredità al basso Impero, che, sopratutto in Oriente, sembra raffinare alla perfezione il sistema. E' ancora allo stesso tipo, salvi i fondamentali cambiamenti nel supporto scrittorio, che appartengono gli archivi di palazzo dei primi Carolingi: sono qui depositati rapporti di negoziati internazionali, testi dei capitolari, [serments des sujets], inventari e descrizioni fiscali. Ma tutto si disperde, almeno in occidente, a causa della distruzione provocata dalle invasioni normanne e dall'anarchia feudale che si fa generale. Quando l'Occidente ricomincia la sua restaurazione istituzionale ed economica, durante il XII secolo, una nuova fase si apre nella storia degli archivi. Si ricomincia a redigere e a conservare atti, documenti che danno titolo a terre o diritti. E' l'epoca dei <> che i sovrani, i principi territoriali, i signori ecclesiastici e laici conservano similmente ai loro altri <>, portandoseli dietro durante i loro incessanti spostamenti o affidandoli per sicurezza ai voti delle chiese o nelle ridotte delle fortezze. Questa conservazione di carte, titoli che provano i diritti, corrisponde alla concezione della regalità patrimoniale. Durante il XII e il XIII secolo, a seconda degli stati, si comincia a tenere dei registri di atti spediti dalle cancellerie, ma anche qui la preoccupazione demaniale rimane essenziale, come quella che si ritrova nella tenuta degli archivi da parte delle Camere di conto [Chambres des comptes]: le carte, come i registri, debbono permettere di dare certezza di una pretesa, o di difendere un diritto. Alla metà del XIV secolo gli archivisti, strettamente legati a cancellerie ed istituti finanziari, cominciano a redigere inventari, talvolta monumentali, dei documenti a loro affidati. Uno dopo l'altro, ogni corte o istituzione stabilisce a suo uso la sua [greffe]. Verso la metà del XVI secolo si assiste pressoché ovunque allo stabilirsi di un nuovo sistema amministrativo, che provoca a volte la nascita dei primi Archivi di Stato. Un interesse particolare, che non cessa di accrescersi durante il corso del XVII secolo, riguarda gli archivi. L'archivistica nasce, prima balbettante, fino a che non vediamo apparire tutti i principi che, uno dopo l'altro, giungono finalmente a costituire la nostra archivistica moderna. Non potremmo minimizzare l'importanza essenziale di questo periodo. Ha in qualche modo condizionato la situazione presente, sebbene le preoccupazioni storiche che ha avuto appaiano un po' distanti oggi. Durante l'epoca delle monarchie assolute o illuminate, quanto sotto la rivoluzione francese giacobina o l'impero napoleonico centralizzatore, gli archivi sono concepiti come strumenti messi a disposizione del potere. Bisognerà attendere la fioritura del romanticismo e lo sviluppo impetuoso della disciplina storica del XIX secolo affinché la situazione si inverta, affinché si metta fine ai depositi di archivio definiti come arsenale di armi giuridiche e politiche, perché essi divengano al contrario laboratori di ricerche storiche, provocando, di conseguenza, la rottura tra archivisti e uffici dove i fascicoli sono costituiti. Non ci è sembrato qui inutile insistere ulteriormente su questo periodo che si stende dunque dal rinascimento alla prima parte del XIX secolo per tentare di precisarne i caratteri. La concentrazione di fondi negli Archivi di Stato Una prima caratteristica, la più evidente forse del periodo considerato, è l'organizzazione dei primi Archivi Centrali di Stato. La Spagna costituisce il primo modello di simili archivi con Simancas: il suo ruolo fu essenziale nel campo dell'archivistica tra XVI e XVII secolo. Un secondo periodo di concentrazione si aprì alla metà del XVIII secolo: fu allora l'Austria ad esercitare una azione determinante sugli archivi d'Europa. Sotto la rivoluzione francese e l'impero napoleonico, la Francia, a sua volta, contribuì direttamente ad una terza ondata di creazione di depositi d'archivi.+ Non è questo il luogo in cui tracciare nuovamente in dettaglio la storia della nascita degli Archivi di Stato. Sarà sufficiente ricordare che, prendendo a modello delle norme anteriori più o meno riuscite (come il tentativo di riunione ad Innsbruck degli archivi dell'Impero nel 1509 da parte di Massimiliano o come il trasporto degli archivi di Ferdinando ed Isabella alla cancelleria di Valladolid nel 1489 e nuovamente nel 1509), Carlo V fece trasferire il suo tesoro di carte in Castiglia nel 1545 nella fortezza di Simancas. A causa di ciò , si è creduto di vedere in lui il creatore degli archivi di stato. Questo è profondamente inesatto, poiché, nel 1560, non si ha ancora a Simancas che un numero ristretto di scrigni e niente distingue questi archivi reali daa altri tesori di carte dell'Europa. Ma, dopo averne fatto l'inventario, un archivista, Diego di Ayala, nominato nel 1561, ottiene dal re, il 17 dicembre 1567 e il 16 ottobre 1569, il mandato per concentrare attorno a questo nucleo originario le carte di tutti i consigli, le corti (Audiencias), le cancellerie, le tesorerie, i segretariati, le cappelle reali etc. Per la concentrazione materiale di tutti questi fondi, fino ad allora distinti, la nuova formula degli Archivi centrali di Stato trova la sua nascita. Per la loro gestione fu promulgata il 24 agosto 1588 quello che deve essere considerato il primo regolamento d'archivio; ci si deve rivolgere altrove, precisamente a Napoli. Il sistema degli archivi medievali sembrò concludersi. L'anno seguente alla creazione degli archivi di Simancas, comincia in Francia la registrazione delle lettere reali nei registri del Tesoro, la cui serie ininterrotta risaliva al XIII secolo; con dei tentennamenti, ci si incammina verso la consrvazione dei fascicolo di archivio alla cancelleria stessa e nelle segreterie di Stato, che si concretizzerà sotto il governo di Richelieu. A Firenze, Cosimo de Medici prescriverà di riunire tutti i registri dei notai dei suoi Stati in un vasto deposito comune di archivi notarili. In Inghilterra, Elisabetta istituì nel 1578 il State Papers Office. Nell'Impero i principi organizzano i loro archivi secondo i nuovi principi della Registratur. A Roma, il papa Pio V comincia nel 1568 il processo di raggruppamento degli archivi della Santa Sede, che, dopo la risistemazione del tesoro di carte pontificio al castello di Sant'Angelo nel 1592, sfocerà in uno dei grandi avvenimenti della Archivistica, la formazione degli ARchivi vaticani nel 1610. Pertanto, il XVII secolo si sforzerà prima di migliorare i metodi che di concentrare gli archivi in grandi depositi, sebbene si assista in Spagna, in Austria, in FRancia alla organizzazione di archivi amministrativi. Fu verso il 1720 che si aprì la nuova ondata di raggruppamenti di archivi con la riorganizzazione degli archivi del re di Sardegna a Torino, provvisti di un'interessante normativa. Lo stesso anno, Pietro il GRande istituisce in Russia due depositi d'archivio centrali e, fatto nuovo, prevede la periodicità dei versamenti, che vi verranno fatti. L'avvenimento decisivo fu, nel 1749, la creazione, da parte dell'Imperatrice Maria TEresa del Haus-, Hof- und Staatsarchiv di Vienna, per accentrare qui gli archivi fino ad allora dispersi tra Vienna, Innsbruck, Praga, Ratisbona...: la misura si avvera all'indomani del trattato di Aix-La-Chapelle, con cui era stata messa fine alla Guerra di Successione austriaca, che aveva rivelato la debolezza della dinastia e delle istituzioni. Sotto il governo del cancelliere Kaunitz, nel 1762, il deposito fu concepito come un arsenale di armi giuridiche a disposizione della corona e un sistema coerente venne stabilito: sull'esempio di Vienna, un direttore degli archivi dei Paesi Bassi fu nominato a Bruxelles, e dei depositi d'archivio instaurati a Budapest per l'Ungheria ed a Zagabria per la Croazia, così come a Mantova. Altri fuorono creati a Varsavia (1765) ed a Venezia (1770). Con il medesimo spirito, si decise di rimettere ordine negli archivi italiani. L'archivista che ne fu incaricato a Milano, Ilario Corte, esercita, come vedremo, una influenza determinante sulla dottrina stessa degli archivi. A Firenze, allo stesso modo, tre depositi si costituiscono successivamente, con la ricollocazione dei loro fondi in gruppi (series) metodici: Archivi dei Medici, ARchivi dei consigli (riformagioni) e il Diplomatico, istituito nel 1778 da Leopoldo I per raccogliere le pergamene dei monasteri secolarizzati e quelle dello stato. Questo tipo di diplomatico è stato esteso ad altre regioni e, nel 1807, all'insieme del Regno d'Italia. Altri grandi depositi vengono creati in tutta l'Europa. Nel 1774 è installata la Register House di Scozia, mentre a Seviglia, dal 1781, Carlo II di Spagna fece concentrare gli archivi di tutte le amministrazioni che trattavano di affari relativi ai territori d'oltremare e fondò l'ammirevole deposito degli Archivi generali delle Indie. E' in questo contesto storico che si produce la Rivoluzione francese. Ella ha avuto come effetto la creazione di un deposito d'archivio nazionale, destinato a raccogliere le carte di tutte le istituzioni centrali dell'Antico Regime così come i fondi dei monasteri e delle chiese secolarizzate nella regione di Parigi e un gran numero di altri fondi. Nel 1796 una leggee ordinò parallelamente di concentrare negli ARchivi dipartimentali l'insieme di materiale archivistico locale dell'Antico Regime: fu in Europa la prima costituzione d'un complesso di archivi regionali. Il sistema francese non tardò ad essere copiato all'estero, soprattutto in Italia, e specificatamente nel regno di Napoli. Fu evidentemente esteso a tutto l'impero e per conseguenza legato agli stati nati dal suo smembnramento, i Paesi Bassi ed il Belgio. Da parte sua, l'Inghilterra aveva creato una commissione incaricata di studiare un eventuale accorpamento dei propri archivi pubblici. La misura non poté concretizzarsi se non nel Public Record ACt del 1838, in linea con le concetraizoni avvenute nel periodo precedente sul continente. Già a quest adata le preoccupazioni storiografiche erano diventate predominanti e non si creeranno più depositi di Archivi di Stato se non per facilitare le ricerche storiche nazionali. L'interesse per gli archivi e l'apparire dei principi archivistici Se i depositi di Archivi di Stato si costituirono per tutta l'Europa per conservare gli archivi morti o viventi e se si finì per stabilire delle riserve di archivi, questo non accadde ancora per ragioni di interesse storico, anche se in alcuni casi non vi fu una totale mancanza di senso della storia. Fu essenzialmente poiché si prese cosicenza dell'importanza del materiale di archivio per il governo dello stato e l'amministrazione delle provincie. Non si poteva permettere che gli archivi cadessero in mano nemica: dopo la disfatta di Mohacs nel 1526, l'Ungheria evacqua i suoi archivi al di là del Danubio su una chiatta che sfortunatamente affondò, cosa che priva questo paese dei propri archivi medievali. Allo stesso modo, quando le armate di Francesco I invadono la Savoia, il duca trasferisce preventivamente le sue carte a Nizza ed in Italia, e tenta invano di dissimulare il loro spostamento al nemico; ma i Francesi non avevano niente di più urgente che farli rimettere a posto. Con la guerra dei trent'anni, non vediamo in Germania che appropriamenti e trasferimenti di archivi, al punto che il trattato di Westaflia prescrisse, per evitare nuovi trasferimenti, il permanere dello status quo. Così Carlo Gustavo di Svezia si impossessò degli archivi della cancelleria di Varsavia, risalenti al XV secolo e che non furono restituiti che con il trattato di Oliva nel 1660. Ormai i trattati tra le potenze non potevano dimenticare le sorti degli archivi. Già Carlo V, col trattato di Crepy-en-Laonnois nel 1544 esigeva da Francesco I la restituzione dei titoli concernenti la Franca Contea. Ma noi non intendiamo ritornare a questa questione di diritto internazionale che è stata oggetto del nostro intervento nella VI conferenza internazionale della tavola rotonda degli archivi a Varsavia nel 1961. Diciamo soltanto che le potenze vincitrici si sforzano di far sì che gli archivi seguano le sorti dei territori ceduti; in opposizione, l'altra parte fa tutto il possibile per ritardare gli spostamenti o evitarli. Previsti nel 601 dal trattato che cedeva alla Francia la Bresse e il Bugey, il trasferimento degli archivi di queste provincie non si attuò, in Sardegna, che nel 1762 e in maniera parziale. Il ruolo degli archivisti si accresce: si fanno ausiliari dei politici e dei diplomatici. Luigi XIII li incarica di [exploiter] il tesoro di carte della Lorena per l'occupazione militare di questa regione e Teodoro Godefroy partecipa ai negoziati del trattato di Munster. Luigi XIV viene a rivendicare dei territori servendosi delle "prove" stabilite con l'aiuto degli studosi: ciascuno conosce la politica dettata dalle Camere di riunione, con cui si è potuto dire che attraverso di esse erano ormai i territori a seguire la sorte degli archivi e non più il contrario. E' un quadro simile per tutta l'Europa. Si pensi ai bella diplomatica che esercitano nel XVII secolo, prima dell'opera geniale di Mabillon, una tale influenza sulla nascita dei metodi diplomatici. Muratori medesimo, un erudito inattaccabile, è incaricato di mettere la sua scienza al servizio del principe. Su piani più modesti, gli studiosi locali fanno lo stesso per conto di coloro che danno loro impiego, signori e chiese, ed è inutile concludere sulla loro evidente responsabilità nella reazione feudale che prepara così efficacemente la strada alla Rivoluzione francese. Se come abbiamo detto prima, non si può sipegare lo straordinario sviluppo degli archivi della monarchia austriaca alla fine del XVIII secolo senza pensare all'azione determinante di Kaunitz che vedeva in essi una magnifica macchina da guerra, è evidente che Napoleone I appartiene alla stessa scuola di pensiero. E non attribuiamogli la frase tante volte ripetuta: "Un buon archivista è più necessario allo stato che un buon generale di artiglieria." Se egli intendeva riunire a Parigi gli archivi dei diversi stati europei annessi o militarmente occupati, fu per privare l'avversario di eventuali armi e utilizzarle lui stesso in appoggio della sua politica e della sua propaganda: dei gruppi di studiosi erano stati incaricati di preparare dei memoriali sulla politica pontificale e di redigere libelli sulla violazione dei diritti delle genti da parte dell'Inghilterra. Questi archivi un po' misteriosi, che assumono tale importanza agli occhi dei sovrani: questi ultimi si riservano a loro soltanto il diritto di consultazione. E' l'epoca degli archivi segreti, nome con cui è ancora noto l'Archivio Segreto Vaticano. Riguarod ai primi regolamenti degli archivi di Simancas, nel 1588, Filippo II ne vietò l'accesso e la comunicazione a chiunque non fosse stato esplicitamente atuorizzato da lui, anche se si trattava di un ministro. Paolo V fece lo stesso con gli Archivi vaticani e non fu una affermazione vana: l'Archivista Michele Lonigo, che aveva portato presso di sé i registri e li aveva lasciati consultare fu condannato nel 1617 a 10 anni di lavori forzati. Ritroviamo questa stessa prescrizione cautelativa riguardo ai ministri nelle istruzioni date da Vittorio Amedeo II di Sardegna nel 1717 al suo archivista di Corte. Gli archivi dello Stato sono così ritenuti parte dei documenti personali del sovrano e restano a sua disposizione. E' opportuno aggiungere che i ministri e i segretari di stato conservano altrettanto gelosamente le loro carte, che sono in effetti quelle dello stato, e accade lo stesso a tutti i livelli dell'amministrazione: così gli inviati di Colbert ebbero le loro difficoltà a farsi aprire gli archivi di Languedoc. Tutto questo conduce all'affermarsi dei diritti dello Stato sui "documenti pubblici". Nel 1568, Pio V intende bloccare nelle mani dei loro detentori tutti i documenti di storia della chiesa. Allo stesso modo, Filippo II dà come missione allo storico Zurita di ricercare tutti i documenti di interesse pubblico per costituire un unico fondo di carte. In un tempo molto lungo, fino quasi ai giorni nostri, dovremo operare una netta distinzione tra carte pubbliche che sono cosa di Stato e carte suscettibili a contenere segreti di Stato. Già in Francia un sovrano autoritario come Filippo il Bello aveva, al principio del XIV secolo, fatto recuperare alla loro morte le carte dei suoi consiglieri. Ma fu una misura eccezionale. Nel XVI secolo la pratica si incontra nuovamente in Spagna, dove il regolamento del 1588 per Simancas prevede la riacqisizione delle carte dei ministri e dei loro eredi. In francia, le affermazioni di principio riappaiono sotto Luigi XIV: alla morte del segretario degli Affari Esteri Lyonne, nel 1671, le sue carte sono acquisite dal re. Da qui in avanti si possono ritenere gli archivi dei segretari di stato come depositi di archivi pubblici. La normativa francese attuale, per quanto riguarda le carte degli ambasciatori, dei generali, ... rimonta a misure regolamentari prese sotto il regno di Luigi XV. Nel reame di Sardegna questa politica si esprime in testi praticolarmente netti, tra cui il regolamento del 1720; nel 1742, si prescrive addirittura di far prestare giuramento ai diplomatici di restituire alla loro cessazione i dcoumenti di stato rimasti nelle loro mani. Si può agevolmente passare all'affermazione di un diritto superiore dello Stato sull'insieme delle carte e al diritto di prelazione sulle carte. A Siena nel 1601 non si può vendere manoscritti senza averlo riferito all'archivista ed averne ottenuto licenza scritta. Le carte pubbliche divengono oggetto di una rivendicazione pura e semplice, le altre possono essere sottoposte a prelazione. Nel 1606 una simile misura viene adottata a Firenze a favore dello storiografo ufficiale San Gallo. A roma il papa dà incarico nel 1742 e nel 1772 ai prefetti degli Archivi vaticani e a quelli del Castello di Sant'Angelo dell'esame dei documenti che potrebbero trovarsi presso gli speziali e gli altri mercanti.